La reperibilità duarnte il turno di riposo non produce automaticamente danno, bisogna provarlo!

Il disagio patito per la reperibilità in giorno festivo non seguita da effettiva attività lavorativa può assumere dimensioni tali da incidere sul piano psicofisico del lavoratore che non possa godere del riposo compensativo, trasformandosi in danno da usura psicofisica. A tal fine non è sufficiente la mera deduzione di non aver potuto godere il giorno festivo per l’impegno di reperibilità, essendo necessario allegare e provare il danno che tale reperibilità ha prodotto.

La sentenza del 7 settembre 2011, n. 18310 della Corte di Cassazione aderisce all’indirizzo tracciato dalle Sezioni Unite in forza del quale ogni pretesa risarcitoria del lavoratore per danno non patrimoniale è soggetta alla prova, anche per presunzioni semplici, della sussistenza di un pregiudizio concreto.

Un dipendente di una Asl si rivolgeva al giudice del lavoro per ottenere il risarcimento del danno derivatogli dall’usura psicofisica subita per le giornate lavorative effettuate nei giorni destinati a riposo compensativo a seguito di turno di reperibilità prestato in giorno festivo.

I giudici di primo e secondo grado respingevano la domanda, ritenendo non fornita dall’interessato la prova del pregiudizio sofferto e la sua dipendenza causale dalla mancata fruizione del riposo.
Il lavoratore ricorreva per cassazione, ma neanche in questa sede otteneva ragione.

Il ricorrente lamentava la violazione del diritto costituzionalmente garantito al giorno di riposo compensativo previsto dalla contrattazione collettiva, la violazione dell’art. 32, dell’art. 36 comma 3 e dell’art. 41 Costituzione, nonché dell’art. 2087 cod. civ. e dell’art. 9, D.Lgs. n. 66 del 2003, per violazione del diritto all’integrità psicofisica del lavoratore nonché del diritto al risarcimento in via equitativa del danno da usura psicofisica per avere lavorato in giornate destinate a riposo compensativo.

A detta del ricorrente, diversamente dal danno biologico, il danno da usura psicofisica per mancata concessione del riposo settimanale doveva essere ritenuto presunto.

La Suprema Corte ritiene infondate le lamentele del lavoratore ed evidenzia che la vicenda in esame consiste nell’effettuazione di turni di reperibilità passiva in giorni festivi, con diritto ad un giorno di riposo compensativo nella settimana successiva, in concreto non usufruito perché lavorato.

La Corte osserva di avere chiarito in precedenti occasioni che la reperibilità prevista dalla disciplina collettiva si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio lavoro, in vista di un’eventuale prestazione lavorativa, e di raggiungere in breve lasso di tempo il luogo di lavoro per eseguirvi la prestazione richiesta.

Pertanto, non equivalendo all’effettiva prestazione lavorativa, il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso.

La Corte prosegue rilevando che è certo possibile che quel disagio assuma dimensioni tali da incidere sul piano psicofisico del lavoratore che non possa godere del riposo compensativo, ma a tal fine non è sufficiente la mera deduzione di non aver potuto godere appieno il giorno festivo per il connesso impegno di reperibilità, essendo necessario allegare e provare il danno che tale reperibilità ha prodotto. Né è il datore di lavoro a dover dimostrare l’idoneità dei benefici contrattuali a fornire l’integrale ristoro del mancato recupero delle energie psicofisiche del lavoratore, essendo invece quest’ultimo a dover provare che la mera reperibilità passiva non seguita da riposo compensativo sia stata produttiva di un danno.

La Cassazione conclude, quindi, per il rigetto del ricorso

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